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Nikon DF
Un’autentica meraviglia sfornata dal pancione di mamma Nikon!
giugno 2024
di Manuel Brun
Scrivere ancora sulla Nikon Df, a ben undici anni dalla sua uscita può sembrare un controsenso. Tutto è stato ormai detto e scritto da recensori, youtuber, fotografi professionisti e amatori, e undici anni di progressi tecnologici in ambito fotografico, come in qualsiasi altro campo dell’elettronica, rappresentano davvero un’era geologica.
Capisco pertanto che sia lecito chiedersi cos’abbia ancora da dare – oggi - una reflex del 2013, controversa e contestata già in fase di lancio, quando il mercato delle mirrorless è dominante e il declino delle gloriose fotocamere ‘a specchio’ è cosa ormai appurata e incontrovertibile.
Vecchie polemiche
Tralascerò di argomentare eccessivamente sulle polemiche suscitate da questa fotocamera non appena la casa madre ha fatto trapelare le sue specifiche. Pochi pixel, assenza di funzionalità video, autofocus non proprio reattivo e prezzo elevato sono stati di gran lunga gli aspetti che hanno maggiormente indignato i followers di casa Nikon. Carenze queste ormai ben note non solo a chi ha evitato di acquistarla, ma anche a chi ne ha soltanto sentito parlare.
Posso dire infatti che pure in tempi recenti qualche amico, vedendomi con la Df al collo, mi ha chiesto in maniera provocatoria “ah!?... ma usi ancora quella Nikon ‘stramba’?”.
Le qualità di questa fotocamera invece – poche ma straordinarie – sono davvero note solo a chi si è fidato del suo istinto, oserei dire a chi ha compiuto un ‘atto di fede’ fregandosene dei tanti commenti negativi presenti in rete per accaparrarsela il prima possibile.
Sarò diretto e brutale nelle mie entusiastiche considerazioni, esattamente come molti colleghi lo sono stati in questi anni al momento di parlarne male.
La parte superiore della Nikon Df con le sue varie ghiere manuali e, sotto, una vista frontale.
La Df è un’autentica meraviglia sfornata dal pancione di mamma Nikon!
Un confronto con la D850
Per quanto l’estetica vintage possa piacere o meno, il cuore pulsante di questo dispositivo, ovvero il suo sensore, mutuato dall’ammiraglia di allora (Nikon D4) è tuttora una bomba. Le immagini restituite sono di una ‘timbrica’ davvero unica, vuoi per la tridimensionalità, vuoi per la resa del colore, o per l’equilibrio tonale. Ma in ogni caso è la resa generale di ogni scatto a farti esclamare “questa è vera fotografia!”.
E lo dico da possessore anche della mitizzata Nikon D850, ritenuta da tutti il non plus ultra della tecnologia reflex di casa giallonera.
Potendo confrontare quotidianamente i files prodotti dalle due macchine, e pur ammettendo che la Nikon D850 rappresenti la fotocamera professionale per eccellenza, permettendoti di portare a casa ogni genere di lavoro (dal ritratto alle foto di interni, dalla macro alle foto sportive, etc.), resto dell’idea che la bellezza delle fotografie targate Df sia ineguagliabile.
Vi sembro un po' estremo?
La pulizia d'immagine
Eppure, chiunque possegga le due fotocamere può confermare un aspetto che dal punto di vista tecnico non è facile spiegare (qualcuno per la verità ci ha provato…) ma che agli occhi un fotografo esperto non passa inosservato. Ossia che pochi ma grossi pixel ‘vedono meglio’ la scena di un sensore in cui si addensano tanti piccoli fotodiodi.
Non mi riferisco alla questione del ‘rumore digitale’, quella fastidiosa grana che in ogni macchina fa la sua comparsa man mano che si alzano i valori ISO. La differenza tra le due reflex a mio avviso sta in una maggiore pulizia d’immagine, chiaramente a favore della Df. A una maggiore bontà dei colori. A una percepibile verosimiglianza della scena riprodotta. Insomma, mettiamola come vogliamo ma non è un caso se la resa delle sue immagini sia stata spesso paragonata a quella delle vecchie pellicole.
Ora però mi rendo conto che posso, anzi devo fermarmi.
Infatti, sono entrato a gamba tesa in un ambito fatto di pura soggettività. Una foto può piacere nonostante o addirittura in virtù dei suoi difetti, e se piace piace. Punto.
Pertanto, alla luce del confronto appena proposto, non è saggio focalizzarsi sulla nitidezza data dalla mancanza del filtro anti aliasing o sul maggior potere di risolvenza dato dai 46 mpx della D850, piuttosto che sulle superiori capacità in situazioni di scarsa illuminazione della Df, che in virtù dei suoi pochi (16 mpx) ma grossi fotodiodi cattura più luce.
Quelle sono disquisizioni da comparative tecniche, in internet se ne trovano a bizzeffe e sono un campo di battaglia in cui la D850 vincerebbe a mani basse rispetto alla Df, come ormai qualsiasi altra macchina equipaggiata con le features più avanzate.
La bellezza di una fotografia
Qui mi soffermo invece su un aspetto sì soggettivo, ma le cui motivazioni non sono certo campate in aria.
La bellezza di una fotografia, infatti, non necessariamente è data dalla somma dei requisiti tecnici della fotocamera in questione.
Talvolta la resa finale di uno scatto è data da quella ‘timbrica’ – insisto su questo termine – che in ambito fotografico viene spesso tradotta col termine carattere. Per fare un esempio evitando di sconfinare dall’ambito giallonero, esiste infatti un obiettivo, il famigerato Noct 58 mm f1.4 G, che ha letteralmente ‘spaccato’ la critica. Chi la trova una lente fantastica, ‘di carattere’, dalle tonalità delicate e dalla resa morbida e pastosa, cioè non aggressiva nei confronti del soggetto. Chi invece per lo stesso motivo – la mancanza di nitidezza - non ci ravvede alcuna qualità, anzi liquida la questione-carattere come una mera favoletta da ‘ritrattisti’.
Ecco, la Df a mio modesto parere è avvolta da un’aura di magia, per la quale ogni scatto risulta affascinante, intrigante, quasi ipnotico. I suoi in pratica sono scatti… ‘di carattere’.
Lasciamo tuttavia la parola alle immagini e vediamo di capire come se la cava questa macchina nelle più svariate situazioni o condizioni di luce.
Spiegherò il contesto in cui sono state realizzate le seguenti immagini, ma tengo subito a precisare che in fase di post-produzione mi sono limitato a poche basilari correzioni, così da non soffocare il lavoro svolto dalla macchina e permettere all’osservatore di farsi un’idea corretta sulle potenzialità che la Df ancora ha da offrire, a ben undici anni dalla sua presentazione.
Partiamo coi ritratti. Alcune foto della Gallery immortalano Gaia, una mia cara amica insegnante di equitazione, follemente innamorata del suo cavallo Vito. Ho chiesto a Gaia di posare in una giornata di sole, paradossalmente nelle ore con la luce più dura (primo pomeriggio), cioè nel momento meno indicato per ottenere la tipica resa morbida delle fotografie di ritratto. Ma volevo esaltare i colori della Df, optando tuttavia per una retro-illuminazione del soggetto in modo da non compromettere la resa del volto con le sgradevoli ombre prodotte dalla luce diretta.
La Df mi ha permesso di sottoesporre gli scatti per non perdere i dettagli sulle alte luci alle spalle di Gaia, e ‘alzare le ombre’ nella zona in cui le ho chiesto di posizionarsi col cavallo. Questo genere di correzioni possono essere attuate senza problemi solamente in presenza di un sensore di alta qualità. La gamma dinamica catturata dalla Df mi ha infatti permesso di non ‘bruciare’ le zone illuminate e contemporaneamente di aprire le ombre ritrovandomi un rumore digitale (alias grana) contenutissimo, ma soprattutto dei colori perfettamente integri, naturali e brillanti.
La facilità con cui si ottengono questi risultati – simile a ciò che si otterrebbe con una foto HDR - rendono tra l’altro la post-produzione fotografica un’esperienza davvero esaltante. Una menzione di lode, tuttavia, va spesa anche nei confronti dell’ottimo Nikkor 58 mm f1.4, per la delicatezza dei toni e la qualità dello sfocato (in gergo dicesi bokeh) che sa regalare in certi frangenti.
I toni della pelle chiara di Gaia, infatti, sono stati riprodotti con una gradevolezza davvero notevole. Ma in generale si può dire che la bellezza di questa ragazza è stata esaltata da un micro-contrasto e da una nitidezza che nella Df non risultano mai essere eccessivi e tantomeno artificiosi, come talvolta accade usando le fotocamere ad alta risoluzione.
L'accoppiata vincente per il genere ritratto
La Df come ho già spiegato è forse la reflex più controversa della storia della Nikon, ma anche per il parco-lenti esiste una ‘pecora nera’ guardata con sentimenti di amore/odio dai più. Si tratta del Noct 58 mm f 1.4 serie G, già menzionato in precedenza.
Paradossalmente, sia la Df che il Noct 58 sono stati presentati assieme nel novembre del 2013, e sembrano davvero fatti l’uno per l’altro. La resa di questo obiettivo, montato sulla Df, non ha nulla a che vedere con quella che si può osservare usandolo su altre macchine. E vi assicuro che non sono l’unico ad averlo notato. Sembra proprio che sia stato fatto un lavoro di ottimizzazione in casa giallonera per esaltare le virtù del sensore della Df tramite questa lente così luminosa, dai toni morbidi, dal microcontrasto equilibrato, e soprattutto dallo sfocato sognante, anzi onirico, come si suol dire. Anche i detrattori del Noct 58 f 1.4 non possono che riconoscere la magia del suo sfocato, indissolubilmente legato alla curva della nitidezza, definita ‘a sombrero’ dal buon Nasim Mansurov, in Photography Life.
Mi spiego. La lente è stata chiaramente pensata per la fotografia di ritratto, grazie a un geniale barbatrucco: se si esamina la nitidezza del Noct, infatti, ci si accorge che al centro è molto alta, ma decade poi rapidamente man mano che si osservano le parti marginali del fotogramma. Da qui la definizione di ‘curva di nitidezza a sombrero’, per la quale – faccio un esempio – gli occhi del soggetto fotografato, posto solitamente al centro, appaiono nitidi, come pure il naso e la bocca, ma il resto del volto assume una ‘morbidezza’ graduale, che però nei ritratti risulta estremamente piacevole. Il tutto tenendo ovviamente delle aperture di diaframma ampie (f1.4 - f2-8).
Per questi motivi, ho ritenuto opportuno mettere sotto torchio la Df accompagnandola alla sua lente d’eccellenza, in una seconda sessione di ritrattistica, cioè il contesto in cui entrambe possono (e devono) eccellere.
Pertanto, dopo aver tormentato Gaia, mi sono accanito su Elisa, un’altra splendida ragazza capace di sopportare e supportare le mie richieste fotografiche.
Elisa vive in una zona dei Colli Euganei, ricca di verde e di scorci estremamente suggestivi. I suoi possiedono un vigneto che è gestito dal papà Flavio e dal fratello Enrico. I vini qui prodotti sono davvero di ottima fattura (ne parlo anche per esperienza diretta) e il legame con la terra non è per Elisa un modo di dire, ma un’autentica relazione d’affetto.
Questo lo si percepisce dal modo in cui illustra la storia della sua famiglia, da come si muove tra gli ambienti di casa sua, da come accarezza anche con lo sguardo le sue amate piante.
Ne approfitto quindi per chiederle di passeggiare in maniera disinvolta tra i filari, dopo aver impostato la lente su aperture ampie. Già a f 4 vedo una gradevolezza d’immagine notevole, ma alle prime foto scattate a piena apertura… ecco la magia!!
Già osservandole sul display della Df, le foto scattate a f 1.4 mi fanno ripetere quasi in maniera compulsiva “Benissimo!.. Benissimooo!!!..”, tanto che Elisa, sospettosa per questo eccesso d’entusiasmo, chiede di poterle visionare anche lei. Cosa che concedo a dire il vero con una certa ritrosia, perché chi fa da modella non può immaginare la resa finale della foto che la ritrae, ma il fotografo si. Solo lui sa come risulteranno le immagini, una volta lavorate negli step della post-produzione.
In effetti, gli scatti illustrano e confermano quanto già ravvisato nella sessione con Gaia. Colori magnifici, un recupero delle ombre sbalorditivo, e una delicatezza dei toni della pelle piacevolissima. Su tutti questi elementi, però, troneggia lo sfocato del Noct 58. Alla massima apertura del diaframma (f1.4) infatti, la figura di Elisa che cammina tra i filari delle viti risulta inquadrata tra la sfocatura del front-focus e quella del back focus, in un modo tale che la tridimensionalità dell’immagine risulta assolutamente percepibile.
Le foto che invece la ritraggono ‘incastonata’ tra le foglie delle viti, retroilluminate dal sole del tardo pomeriggio, non solo esaltano la sua bellezza, ma evidenziano quella bontà dei colori che, pur recuperandoli tra le ombre, si sono conservati integralmente. E questo grazie a chi? Al sensore della Df, è ovvio.
Da ultimo uno scatto ravvicinato, che esalta la freschezza del volto di Elisa, accarezzato dalla luce del tardo pomeriggio, quella che in gergo fotografico viene definita l'ora dorata.
Altri generi: dal paesaggio al reportage
Le altre foto invece si rifanno a una casistica di situazioni che svaria dal reportage alla paesaggistica, fino a quella che amo definire, per mio personale uso e abuso, la banal-photography, ossia quel genere di scatti che talvolta fai solo per il piacere di fotografare, girovagando alla ricerca di un soggetto qualunque.
Da un lato, quindi, alcuni scatti effettuati dalla cima del Monte Summano (ai piedi del comune di Santorso - VI) riprendendo il vicino Novegno. Quelle che usando la Nikon D850 sarebbe risultate delle immagini ipernitide, quasi analitiche, tanto è ricco il dettaglio ricavabile dal suo osannato sensore a 45mpx, nella Df assumono invece il crisma di una resa pittorica, per certi versi poetica. Concetto non traducibile in un linguaggio meramente tecnico, ma assolutamente percepibile da un punto di vista estetico.
La foto dei Tetrarchi della Basilica di Venezia, abbracciati da un ‘intruso’, si riferisce invece a una sessione di reportage svoltasi in Piazza San Marco, relativa a un più vasto progetto fotografico volto a sondare il complesso rapporto tra Beni Culturali e relativa fruzione da parte della collettività. Nello specifico frangente, la presenza dell’acqua alta in città costringeva le persone a usare le passarelle predisposte dal Comune, ma mi ero accorto che uno sventurato turista si era messo in una posizione inadeguata sia per lui che per il complesso statuario. Dal punto di vista fotografico, tuttavia, si stava profilando una scena molto interessante, che non potevo lasciarmi sfuggire. Il tizio, proseguendo lungo quei rialzi di pietra, si sarebbe inevitabilmente aggrappato ai Tetrarchi, formando così un bizzaro gruppo di soggetti – ormai definibili i Pentarchi – intenti a stringersi tra loro più per paura della marea crescente, che per alludere a complesse alleanze politiche.
L’unico vero problema, a parte inzupparmi le scarpe, era dato dal numero limitato di pixel della Df. Avendo montato una lente fissa, per giunta leggermente grandangolare (35 mm f 1.8), dovevo infatti avvicinarmi per riprendere al meglio quell’abbraccio a cinque, ma l’acqua e il caos dei turisti mi ostacolavano non poco. A un certo punto ho scattato d’istinto per non perdere il momento decisivo, come raccomanda l’inarrivabile Henry Cartier-Bresson. Al limite poi avrei ritagliato la foto in post-produzione, come invece deplora lo stesso Maestro. Alla fine, ho optato per un deplorevole ma necessario ritaglio, e ne è uscita l’immagine che vedete in Gallery. Tuttavia, quel che conta per la recensione sulla Df è il fatto che tutto sommato, anche coi suoi pochi pixel, è stato possibile operare un crop senza compromettere la qualità dell’immagine finale.
Gli scatti afferenti invece alla banal-photography... beh... si commentano da soli. Sono appunto delle menate generiche che tuttavia hanno il pregio di mostrare come il fantastico sensore della Df renda interessante e gradevole anche ciò che oggettivamente è banale, o che è stato già fotografato mille e mille volte.
Conclusioni
In definitiva, posso dire con franchezza che tutto il casino mediatico e l’indignazione suscitata dalla Df per via di alcune sue carenze tecniche (pochi pixel, assenza di funzioni-video, autofocus mediocre) non può che dissolversi come neve al sole, al cospetto della qualità eccelsa del suo sensore. Un sensore da ‘ammiraglia’, mutuato appunto dalla D4, che rimane estremamente competitivo ancor’oggi soprattutto in condizioni di bassa luce, a ben 11 anni dalla sua uscita. E per il quale le si perdona tutto!